Shanda’s river: recensione

 Shanda’s river: recensione


Nazione
Italia

Anno
2018

Regia
Marco Rosson

Sceneggiatura
Nicola Pizzi

Produzione
Giorgio Ettore Galbiati

Cast
Margherita Remotti, Diego Runko, Marcella Braga, Claudia Marasca 

GIUDIZIO
3/5

Emma è un’antropologa che si reca a Voghera, una piccola città nel nord Italia, per condurre uno studio sulle oscure leggende che ruotano intorno al fiume Shanda. Il fiume deve il suo nome a Shanda, una giovane contadina uccisa all’inizio del cinquecento perché accusata di stregoneria. Quando Emma inizia ad indagare, rimane intrappolata in un sortilegio che la costringe a rivivere continuamente la stessa giornata: ogni volta si risveglia nella sua camera d’albergo alle 4:00 del mattino e ogni volta rivive l’orrore in cui è stata intrappolata. Scoprire la verità che si cela dietro la leggenda sarà l’unico modo per uscire da questo incubo.

Dopo aver visto il film la prima parola che mi è venuta in mente è stata passione. Il lungometraggio del bravo regista Marco Rosson classe 1984 di Voghera, è girato con cura e attenzione ai particolari, cosa non sempre riscontrabile in progetti indie a basso costo. Proprio la passione e la voglia di realizzare cinema horror di qualità, capace di  guardare al grande cinema horror italiano degli anni d’oro, è di certo un aspetto fondamentale per chi gira con pochi mezzi. Marco Rosson e tutta la troupe hanno dimostrato che si può fare cinema di qualità in Italia senza dover necessariamente avere grandi cifre a disposizione. Shanda’s River si ispira di certo al cinema di Mario Bava per la tematica stregonesca ma anche al cinema di Pupi Avati e alle sue “leggende rurali”;  ma di certo ha una sua identità precisa. L’intenzione del regista è quello di mostrarci una discesa verso l’abisso della protagonista, colpita da una maledizione tremenda che la vede morire e rinascere continuamente e in modi sempre diversi. Questo succede nel misterioso mondo del sogno o meglio dell’incubo. La storia è come un vortice di tragici eventi che si susseguono fino alle 4:00 del mattino quando è come se il nastro si riavvolgesse per dare vita a un nuovo incubo. Sembra proprio una punizione da girone dantesco quello che subisce la povera Emma, e più avanti scopriremo che quello che le succede ha a che vedere con qualcosa di personale. Nel panorama indie italiano non sempre delle storie così interessanti trovano un felice riscontro nella messa in scena. Il più delle volte alcune cose vengono lasciate al caso, il progetto perde di fascino e credibilità con il risultato che il film non si riesce più a seguire. In Shanda’s River questo non accade. Per un’ora e mezzo la mia attenzione è stata pressoché costante grazie proprio alla qualità di cui sopra. La fotografia è buona e spesso gioca con i cromatismi di tanto cinema baviano, le inquadrature sono molto belle e il regista usa benissimo le carrellate. Anche il montaggio, molto attento, imprime un ritmo funzionale alla trama donando un equilibrio visivo che non stanca e coinvolge. Le musiche sono molto evocative e si sposano perfettamente con le sequenze. Sappiamo che la recitazione degli attori è un elemento fondamentale per la riuscita di una pellicola, spesso però nei circuiti indie si vedono recitare cani e porci, non in questo caso dove gli attori sono tutti molto bravi, in primis la protagonista, l’attrice Margherita Remotti, che ci regala una recitazione intensa e anche quel pizzico di erotismo che in un b movie horror ci sta sempre. Sono anche contento che siano stati utilizzati effetti speciali vecchia maniera come il buon vecchio make up prostetico rinunciando al “freddo” effetto digitale. Se dovessi fare un appunto alla pellicola direi che il regista e lo sceneggiatore potevano evitare la parte finale in cui avviene la conversazione fra Daniel e l’ispettore di polizia, a mio avviso superflua, e che smorza il tono che il film aveva tenuto fino a lì. In definitiva Shanda’s River è un buonissimo esempio di cinema indie fatto molto bene (del resto i 19 premi vinti in tutto il mondo non sono certo un caso). Sono sicuro che con lo stesso budget risicato altri registi emergenti italiani non avrebbero fatto così bene. Auguro a Rosson di continuare su questa scia e di dimostrare con un budget più alto di poter puntare anche a qualcosa di più ambizioso. Nel frattempo potete leggere l’intervista che abbiamo fatto con il regista cliccando qui.

© Sergio Di Girolamo