Cronache Marziane: Recensione
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- 28 Febbraio 2021
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Nazione: Usa
Anno: 1950
Autore: Ray Bradbury
Casa editrice: Mondadori
Traduttore: Giorgio Monicelli
Dal gennaio del 1999 all’ottobre del 2026 gli esseri umani eseguono un serie di viaggi spaziali per raggiungere Marte e colonizzarlo a causa della difficile vita sul pianeta terra dominato da inquinamento e guerre. Le vicende sono suddivise in vari episodi con protagonisti innumerevoli personaggi che, in un modo o nell’altro, avranno un diverso approccio con la vita sul pianeta rosso e con i suoi misteriosi abitanti.
Nel secolo scorso Ray Bradbury ha rivoluzionato il concetto di fantascienza. Ancora adesso, da poco scomparso, la produzione del grande autore americano è fonte di ispirazione per chi vuole scrivere di fantascienza, soprattutto quella legata a concetti molto profondi, capaci di suscitare interrogativi e riflessioni di carattere etico/religioso ( allo stesso modo farà Philip Dick dai tardi anni sessanta in poi). La narrativa di Bradbury è sempre stata caratterizzata da una sensibilità volta a cogliere gli aspetti più intimi della natura umana e, nelle Cronache Marziane, questo è un aspetto decisamente presente in tutti i racconti che compongono il libro. In virtù di questo c’è anche da sottolineare come l’opera funga proprio da spartiacque tra un tipo di fantascienza, appunto moderna, e quella pre Cronache, meno sociopsicologica e decisamente più avventurosa e d’azione, tipica delle produzioni letterarie di J.Verne, padre della fantascienza letteraria.
Le Cronache Marziane è un resoconto della colonizzazione di Marte attaraverso diversi episodi che tracciano i diversi aspetti che un tale evento può comportare sull’uomo. Nei ventotto racconti che compongono l’opera Bradbury parla di etica e religione (Le sfere di fuoco) di razzismo (Su negli azzurri spazi) di rispetto per la cultura (Usher II) di rispetto per gli esseri viventi e le cose (La terza spedizione) di solitudine (Le città silenti) tutto infarcito di una poeticità fuori dal comune, marchio di fabbrica della narrativa tutta di un autore che ha sempre ricercato nel suo stile la frase, il periodo, la parola evocativa, capace di riportare alla mente amori, nostalgie, desideri passati.
In questo splendido libro egli ci riesce in pieno, soprattutto nelle pagine in cui ci descrive la natura degli alieni, capaci di trasformarsi in esseri umani, in modo da ripresentarsi ai coloni terrestri sotto forma di parenti defunti che cercano di ridonare un briciolo di gioia alla gente afflitta dal dolore (inizialmente gli umani ipotizzavano che Marte fosse una specie altrove dopo la morte terrena). I marziani in effetti non sono mai descritti da Bradbury in modo preciso. Nei primi racconti egli ci parla di uomini minuscoli dagli occhi dorati e con strani nomi formati da tre o quattro lettere, praticamente gli abitatori primigeni del pianeta. Più avanti, con l’aumentare delle spedizioni terrestri sul pianeta, la presenza dei marziani si fa sempre più rara fino a quando questi non diventano quasi delle entità eteree, dei fantasmi che abitano in citta silenti, ma che, appunto, periodicamente visitano i nuovi colonizzatori per donare anche un fuggevole ristoro dalle sofferenze interiori. Quindi Bradbury è decisamente dalla parte dei marziani, è l’uomo semmai che porta il male, che quasi subito ricrea o tenta di ricreare sul territorio alieno lo stesso stile di vita che vi era sulla terra, partendo proprio dall’edificare delle città, in tutto e per tutto simili a quelle terrestri, dove presto gli interessi principali diventano quelli di natura economica e quindi il potere. In fondo il grande pregio di quest’opera è quella di parlarci dei variegati aspetti della natura umana traslandoli in un contesto diverso ma che lentamente riassume i connotati di quello primigenio, facendoci riflettere anche sul concetto di colonizzazione e rispetto delle culture: è innegabile il parallelismo con la colonizzazione degli Stati Uniti ai danni delle tribù indiane.
Il libro non manca neanche di momenti più spensierati in cui lo scrittore si diverte a omaggiare l’horror (al quale ha dato un deciso contributo in molte opere successive) in Usher II che è un omaggio a Poe, nel quale un uomo ultramiliardario, amante dell’horror gotico, pensa bene di ricreare su Marte la famigerata casa decadente della novella del genio di Baltimora, oppure farci sorridere nel racconto Le città silenti in cui ci narra le vicende di un uomo rimasto unico superstite maschio su Marte che un giorno scopre che in un’altra città abbandonata vive l’unica superstite donna del pianeta; sarebbe tutto perfetto se al loro primo incontro egli non scoprisse che la donna è oltremodo grassa e brutta, il tutto e per tutto diversa dall’idea che si era fatto l’uomo parlandole al telefono.
Il libro, come detto, ci racconta varie fasi dell’epopea colonizzatrice del pianeta rosso, prima le vicende dei marziani originari che “sentono” l’arrivo di novità, poi le missioni per sondare il posto attraverso varie spedizioni di astronauti, seguite dall’arrivo di tutta la gente comune.
In una seconda fase accade invece che la gente ritorna sulla terra perchè una guerra devastante sta distruggendo il pianeta. I coloni di Marte, in un eccesso di senso di colpa, pensano di tornare per aiutare parenti e amici in difficoltà spopolando nuovamente il pianeta.
Infine dopo la distruzione completa del pianeta terra una famiglia riesce ad arrivare su Marte con l’intenzione di popolare nuovamente il posto (La gita d’un milione di anni), questa volta però senza ricreare nulla della vita precedente ma lasciandosi conquistare in tutto e per tutto dalla nuova realtà che sono destinati a vivere. In questo senso è illuminante la scena finale del libro quando il padre dice al figlio, desideroso di vedere i marziani, di guardare il riflesso sull’acqua nel quale ci sono i volti riflessi di loro stessi. Ecco ora sono loro i nuovi marziani, pronti a ricolonizzare il pianeta, stavolta, forse, evitando di commettere gli errori del passato. Cronache Marziane riscosse un enorme successo in tutto il mondo, ancora adesso è un libro compratissimo ed è giusto parlare di classico della letteratura. Un’opera che in se contiene tanti spunti per riflessioni sempre nuove e attuali.
©Sergio Di Girolamo